Monday, July 14, 2014

La Storia insegna: Neoliberismo, Educazione, Finanza, Anarchismo, Africa Coloniale. Da Dewey, a Rocker, fino a Davidson. Pensatori Indipendenti ed i vuoti culturali del Sistema


 Informare non significa indottrinare qualcuno, non significa mostrare solo il lato della medaglia che più ci piace. Educare non significa imporre delle idee, ma piuttosto stimolare la mente ad una crescita flessibile, variegata, elastica. Significa aiutare nel cammino, invogliare, diversificare le proposte e le tematiche, rendendo la mente come una pianta con continui germogli e frutti, non un vaso da riempire con nozioni senz'anima.
L'informazione, anche quella indipendente, è sovente farcita da errori, articoli "copia e incolla" spesso non verificati ne da chi li scrive ne da chi li riporta sui vari siti, spacciati come verità assoluta. Internet è una fonte pressoche inesauribile di notizie, articoli, statistiche, interviste, dati, sondaggi, ci si può trovare tutto ma anche il contrario di tutto. Chi scrive su questo blog ama l'informazione nella sua autenticità, senza spennellate di ideologia tra le righe, senza compromessi, almeno qui.
Se l'auto che usiamo da anni continua a rompersi, a perdere pezzi, a lasciarci a piedi, a costarci conti salati dal meccanico, dobbiamo considerare l'idea di cambiarla. Questo non vuol dire che siamo contro ogni auto, ma vuol dire fare un ragionamento logico che va a nostro vantaggio. Analogamente il sistema economico, politico e sociale è come una macchina che decenni fa aveva promesso mirabolanti progressi, l'eliminazione della povertà, la riduzione dei divari tra paesi ricchi e poveri, il successo del libero mercato, della globalizzazione sul protezionismo, della catena di montaggio sull'artigiano locale, della crescita senza limiti sulla conservazione delle risorse, di un benessere a pioggia, nessuno escluso. Questo sistema, questa macchina, sta dimostrando i limiti delle sue promesse, perde pezzi, viene quotidianamente riparata per fare ancora qualche km, perchè i suoi sostenitori continuano a farci soldi a palate. Non vogliono il cambiamento, non vogliono il benessere di tutti, ma solo della loro Elite, e di quelli legati a quell'elite, un esercito di adepti, in una spirale di potere e privilegi.
Potremmo affermare che l'occidente è divenuto ricco e prospero perchè ha vissuto sulle spalle dei paesi in via di sviluppo, che un tempo erano le colonie: materie prime, spezie, oro e diamanti, petrolio, sono state in gran parte prelevate da Sud America, Africa, Asia e Medio Oriente e ridistribuiti in Europa prima e nell'America del Nord poi.
La storia ha una collezione interminabile di studi di scienziati, di economisti, di filosofi che avevano già pronosticato il fallimento di questo sistema. Lo avevano fatto in tempi non sospetti, quando il libero mercato, la privatizzazione erano all'apice di uno sviluppo che si sarebbe rivelato poi dai piedi d'argilla.
Questo articolo vuole mostrare alcuni di questi studiosi che avevano studiato perchè questo sistema non poteva funzionare. Ce ne sarebbero molti e molti altri ancora, ma l'intento non è quello di fare un elenco, ma di stimolare chi legge ad approfondire questi studi, a sfogliare le pagine della storia dove è già tutto scritto, diagnosticato e previsto. Un presente senza memoria è destinato ad un futuro sempre più incerto e devastante.

Sul concetto di educazione troviamo John Dewey (1859-1952), autorevole rappresentate nel ramo della pedagogia e filosofia Statunitense, secondo cui le esperienze non vengono imposte dall'insegnante, ma nascono dagli interessi naturali degli alunni ed il compito dell'educatore è quello di assecondare tali interessi per sviluppare attraverso essi il senso della socialità.
L'insegnamento, secondo Dewey, deve essere dettato da un processo di continua evoluzione, ogni  nozione dovrebbe condurre alla successiva, in una crescita costante, un movimento libero. Esiste un'intrinseca continuità nell'educare, o vi è piuttosto una serie di atti aggregati gli uni con gli altri? Sovente ci troviamo a studiare delle scatole chiuse, dei traguardi finiti. Non è una crescita reale, un passo che spinge al seguente passo, ma una serie di nozioni fini a se stesse, qualcosa di imposto dagli insegnanti. Un sistema di pensiero che ci porteremo nella società. Chi insegna dovrebbe comprendere questo: bisogna sviluppare un processo mentale qualitativo, non la risposta giusta. Ogni grande progresso nelle scienze è arrivato da pensieri alternativi, fuori dai canoni classici delle teorie prestabilite. Un contadino pianifica le sue attività in accordo con la natura circostante, ogni stagione può essere diversa a seconda delle variabili esterne: sole, vento, pioggia, parassiti, terreno. Deve comprendere e prevedere, e così dovrebbe fare un maestro, ogni giorno, ogni passo, ogni alunno è diverso e questo richiede un adattarsi alle sue esigenze.
Quello che l'insegnante propone non è frutto delle sue scelte, ma di un sistema superiore che decide quali testi adottare, quale metodo sviluppare per gli studenti, anche se è quello meno opportuno. Si viene a creare un conflitto. Come se delle autorità esterne imponessero al contadino di piantare patate in un terreno più adatto per i pomodori, o seminare in quel periodo anche se fosse il meno adatto per la semina.
Per questo, sottolinea Dewey, una buona Democrazia è quella che stimola e promuove pensieri indipendenti, attivi. Altrimenti si rischia una deriva nel pensiero unico, un monocolore che sà molto di indottrinamento. Una dittatura della maggioranza che non discute ma deve imporre il suo sistema. L'individualità viene annichilità per far posto alla massa, ad un gruppo che deve far numero, senza troppe domande. L'Aristocrazia è una forma di governo nelle mani di pochi, considerati "migliori", che controllano lo Stato nell'interesse della comunità. L'oligarchia è una sua forma degenerata, dove quei "migliori" impongono il potere ma per i loro interessi privati. Secondo Aristotele:" quei pochi esercitano il potere indebitamente, o in quanto non ne hanno il diritto o in quanto lo fanno violando le leggi o, infine, in quanto lo esercitano favorendo gli interessi particolaristici a scapito di quelli della comunità". Ritornando ai giorni nostri, e considerando, per esempio,  il potere "democratico" di un referendum, spesso non rispettato. Oppure a una politica sempre più invischiata nella corruzione, o che investe negli armamenti e non nell'educazione, possiamo riferirci alla realtà che ci circonda come ancora democratica?

Se analizziamo le complessità del Sistema Dominante non possiamo non parlare dello scrittore, pensatore ed attivista Rudolf Rocker (1873-1958), autorevole esponente del pensiero anarchico.
Questa corrente di pensiero, oggigiorno banalmente semplificata come un gruppo di violenti che non vuole nessuno tipo di autorità, meriterebbe un articolo a parte.
Già nell'incipit del suo libro "Anarcho-Syndicalism" Rocker, definisce l'Anarchia come l'abolizione di tutti i monopoli economici e di tutte le istituzioni politiche e sociali che si impongono nella società. Le persone si dimenticano spesso che le industrie non sono fini a se stesse, ma dovrebbero essere solo dei mezzi per assicurare ad ogni uomo la sua naturale sussitenza, permettendogli di progredire culturalmente. Un'economia senza regole inizia dove il lavoro rappresenta il "tutto" e l'individuo il "niente". I tempi della natura vanno forzati in quelli monotoni e ripetitivi della catena di montaggio. Le ingenti spese militari che ogni Governo impone ai propri cittadini ed i debiti di guerra sono il prezzo della presunta protezione dello Stato su popolo. Questo lavoro di Rocker è del 1947 eppure potrebbe benissimo essere stato scritto da qualsiasi oppositore del libero mercato dei giorni nostri.
Il potere dello Stato, continua l'autore, non è altro che una caricatura grottesca della società presente.
L'Anarchia vorrebbe abolire questa forma di Stato con i suoi principi autoritari, di guardiano governativo, dove sotto la pretesa di formare un uomo più civile e morale lo rende in realtà schiavo, oppresso e inevitabilmente sfruttato. Il ruolo del popolo, prosegue Rocker, è oramai quello di ratificare delle decisioni prese in altre stanze, di adottare delle dottrine, preparate altrove dai propri "superiori", osservando passivamente i cambiamenti della società. La Rivoluzione sociale, la formazione di un popolo finalmente padrone delle proprie scelte è l'obiettivo ultimo. Rocker, come la maggioranza degli anarchici, non era comunista. Sia il comunismo che il fascismo erano visti come forme estreme di politica, da evitare.
Anche il Capitalismo è visto dall'autore, come la volontà di rendere sottomessi milioni di individui. Una forza che spinge i Governi e gli imperi verso obiettivi che favoriranno una ristretta cerchia di persone. Il Capitalismo moderno non si pone limiti, può muoversi con freddo egoismo verso alcuni ed incarnare la "provvidenza" per altri. Le abilità tecniche e scientifiche sono progredite in maniera considerevole, eppure la massa non si è arricchita ma piuttosto il contrario.
Per mantenere questo apparato molti dei progressi tecnologici sono serviti per eliminare il prossimo, si creano masse di killer in uniforme, dove la burocrazie sono dei tiranni senz'anima, dove dalla culla alla bara siamo oppressi da regimi polizieschi, dove il territorio è riempito di celle e penitenziari, informatori e spie. La crescente tecnologia a spese della personalità umana e la sottomissione ad un destino a cui la maggioranza si arrende è la ragione per cui il desiderio di libertà è meno vivo oggi tra gli uomini, sostituito da quello di una sicurezza economica.  L'anarchismo non è il brevetto perfetto per tutti i problemi sociali, non è l'utopia di un ordine assoluto, non crede nella perfezione o in un traguardo finale per le popolazioni. Piuttosto in un perfezionamento illimitato del'ordine sociale. L'anarchismo riconosce la relatività di ogni idea, di ogni istituzione e di ogni ceto sociale. Anche la libertà non è un concetto filosofico astratto, ma la possibilità concreta e vitale per ogni individuo di sviluppare le sue capacità ed il suo talento cui la natura ha dotato e di porre questi doni per il miglioramento della società. Meno interferenze ci saranno da parte di Governi o religioni e più efficente ed armonica la personalità umana diverrà per il beneficio dell'individuo e della comunità.
Sembrano pensieri di un "Gandhi" qualunque piuttosto che di un anarchico, forse perchè la nostra visione di anarchia è distorta.

Una precisa analisi sulle dinamiche dei Partiti Politici, sui loro obiettivi finali ce la offre  il Prof. Thomas Ferguson (1949- ), esperto di scienze politiche, autore e giornalista di temi economici e politici appunto.
Nel suo scritto più interessante " Investment Theory of Party Competition " si analizza in maniera dettagliata come siano le Elite Affaristiche a dirigere le scelte dei Partiti Politici e non gli elettori.
Visti gli alti costi che servono per guidare un sistema politico, costi inarrivabili per gli elettori ordinari, sono i gruppi di affari che tracciano le linee politiche in cui le diverse coalizioni in gioco rappresentano gli investitori, non gli elettori, questo il fulcro della teoria di Ferguson.
Chi offre denaro per i vari Partiti ha le sue ragioni di investimento e quindi di controllo dello Stato.
Gli investitori sono divisi dai loro obiettivi finali, esattamente come delle coalizioni politiche: ci sono quelli per far profitti nel settore del lavoro, quelli nel settore del capitale, quelli per il libero mercato, quelli che supportano il protezionismo, raramente il maggiore investitore è un sindacato, è avvenuto nel caso della nascita del Partito Laburista inglese, per esempio. I partiti politici sono le braccia in azione dei gruppi di controllo che si muovono nelle retrovie.
Per non scontentare nessuno dopo un certo numero di anni si assiste, sempre secondo Ferguson, ad un "Realignment" un riallineamento, dovuto di solito a qualche evento di risonanza pubblica: una crisi violenta, una guerra, uno scandalo. Questa sorta di "giro di boa" permette ai poteri forti di rimescolare le carte, di cambiare i pupazzi politici ai vertici, per dare anche ai cittadini un senso di rinnovamento e giustizia.
Per guadagnare la fiducia degli elettori, il loro voto e quindi la vittoria per le Lobby dietro al politico di turno, bisogna parlare di aborto, diritti dei gay, guerre, in modo da garantire la vittoria ai gruppi dominanti, il fine giustifica i mezzi, ed il fine è il profitto ed il potere.

Altro autorevole pensatore, scrittore, commentatore politico e giornalista è Walter Lippmann (1889-1974), colui che per primo coniò il termine "guerra fredda"  e vincitore di due Premi Pulitzer.
Per Lippmann la figura del giornalista era quella del mediatore tra i gruppi al potere ed il popolo. Quest'ultimo non poteva comprendere le dinamiche e le strategie politiche, quindi il giornalista fungeva da "filtro" per semplificare queste tematiche per l'opinione pubblica. Questo pensiero si scontrava con quello di John Dewey che alla visione gerachica dell'informazione, contrapponeva un gionalismo più egalitario: più le notizie erano condivise e più si alimentava la democrazie ed il libero dibattito.
Lippman, famoso per aver intervistato Kruscev nel 1958 e nel 1961, non si piegò mai al sensazionalismo ed ai gusti del grosso pubblico, cercando di rimanere sempre distaccato, un osservatore che raccontava dei fatti. Il suo libro più importante è "Public Opinion" del 1922, dove si confrontano le relazioni tra il mondo pieno di avvenimenti e la capacità dei cittadini di comprenderli a pieno. Lippmann si propose di capire e di studiare l'influenza sullo stereotipo e i meccanismi che si instauravano per la formazione di tale fenomeno. Lo stereotipo sociale è per Lippmann una visione distorta e semplificata della realtà sociale: lo stereotipo, aggiunge, è costituito dalle immagini mentali che ci costruiamo per semplificare la realtà e per renderla a noi comprensibile.
Coloro che conoscono e comprendono la realtà e di suoi avvenimenti tendono spesso a manipolarli, creando un simulcro di quella stessa realtà che possa essere facilmente assimilabile dal popolo. Le finalità autentiche sono altre, celate ai più. Qui ha terreno fertile la propaganda, che, secondo Lippmann, non potrebbe esistere senza una qualche forma di censura, una barriera tra l'evento in se e quello che viene detto e filtrato per il pubblico. (Da sottolineare la sua opposizione alla guerra del Vietnam)
Ma la colpa di questo sistema non è nella censura stessa, ma in una sorta di rassegnazione, di anemia, di una mancanza di fame da notizie dell'opinione pubblica, che avrebbe i mezzi per accedere ad una conoscienza più approfondita (lo dice Lippmann nel 1922, adesso con internet dovrebbe essere ancora più facile).
"Con un dollaro non ci si compra nemmeno una caramella, ma la gente pretende di informarsi comprando quotidiani ancora più economici."
Le notizie sono scelte editoriali, semi gettati ai cittadini per creare una qualche opinione pubblica, prosegue l'autore.
Ne mondo moderno dove la parola "Leader" è spesso associata a personalità del tutto inadeguate, Lippmann espone la sua idea: " La prova fodamentale del valore di un Leader è che lasci dietro di se altri uomini, la convizione e la volontà di proseguire la sua opera." Il presente è ben lontano, dunque, dalla figura che Lippmann descrive. La politica è più una corsa al sensazionalismo, ad interventi utili a guadagnare qualche voto, senza una reale volontà di intraprendere un cammino di progresso per tutti.
Conclude Lippmann con una stoccata alle Democrazie: " Quando tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa molto."

Una delle più prestigiose figure del XX negli studi delle "politiche internazionali" è stato,senza dubbio, Hans Morgenthau (1904-1980), per ben due volte Consulente del Dipartimento di Stato USA, sia sotto la presidenza Kennedy che sotto Johnson. Le sue idee contro la guerra del Vietnam lo videro allontanato dal suo incarico.
Il suo pensiero si concentra verso le relazioni di potere tra gli Stati, come si sviluppa, quali sono le sue conseguenze e come viene interpretato dalla popolazione.
Il suo lavoro più importante, considerato un pilastro nel ramo delle politiche internazionali si intitola "Politics among Nations".
Per lo studioso la lotta per il potere è universale nel tempo e nello spazio e questo è innegabile a livello empirico.Non si può negare che nel corso dei secoli a prescindere dalle condizioni economiche, sociali e politiche, gli Stati si sono sempre incontrati in relazione al potere. Anche se alcuni antropologi hanno mostrato alcune popolazione apparentemente immuni da questo desiderio, nessuno lo ha potuto ricreare su scala planetaria, sintomo di un eccezione che conferma la regola.
La politica internazionale, come qualsiasi tipo di politica, è una lotta per il potere. Le azioni degli Stati non possono considerare i principi morali.
La sua visione rientra nella Scuola Realistica, anzi secondo alcuni ne sarebbe l'iniziatore, dove la natura umana non può cambiare, dove la politica internazionale è guidata da leggi ferree e chi non si adegua ne subirà la conseguenze. Una visione  Macchiavellica,  molto Hobbesiana, dove l'umanità è sostanzialmente competitiva ed egoistica, famosa la sua frase "Homo Homini lupus" - ogni uomo è lupo per l'altro uomo.
I fatti attuali non possono che confermare questa linea di pensiero. Non essere d'accordo con Morgenthau significa non aver compreso la situazione politica mondiale, credere ancora che chi procura guerre lo faccia in nome di qualche nobile causa. Mai come oggi ci troviamo di fronte ad una lotta indiscriminata per il potere, una sorta di revival di "guerra fredda" tra USA e Russia, ma con nuovi co-protagonisti come la Cina ed i paesi Mediorientali. Le logiche di conquista sono preponderanti sulle logiche di pace e stabilità. Siamo davvero ancora padroni del nostro destino?

Per ottenere un quadro più dettagliato sulla situazione attuale mondiale dobbiamo considerare la figura di Ha Joon Chang (1963 -), importante economista e Prof. all'università di Cambrige. Chang è stato consulente della Banca Mondiale, della Banca per lo Sviluppo Asiatico e dell'Oxfam.
Il suo pensiero è un attacco frontale al neoliberalismo mondiale, alle politiche per ridurre o annullare completamente le tariffe doganali nei paesi in via di sviluppo, ai nuovi accordi per il libero mercato promossi dal WTO (World Trade Organization). Da un articolo sul "Le Monde Diplomatique" del 2003.
Il paradosso è che gli stessi paesi, adesso industrializzati, che promuovono il libero mercato, ai tempi del loro sviluppo economico, raramente usarono quelle regole, che oggigiorno impongono ai paesi in via di sviluppo. Questo in sintesi il nocciolo del pensiero di Chang, che va più nel particolare. L'Inghilterra del XIV e XV secolo aveva politiche prettamente protezionistiche, specialmente per la produzione della lana grezza, per scoraggiare l'esportazione. Stesso procedimento fu adottato tra il 1721 ed il 1846 con nuovi accordi commerciali sulla "Legge del Grano". Tariffe protezionistiche, sussidi di esportazione, rimborsi sulle tariffe di importazione generate delle entrate per le esportazioni. Durante quel periodo la Gran Bretagna aveva un tasso di protezionismo tra i più pesanti in Europa.
Quando nel 1846 la "Legge del Grano" fu abrogata, l'Inghilterra si mosse verso il libero mercato, più per favorire in parte l'aristocrazia terriera e dare inizio ad una sorta di "imperialismo del libero mercato".  La liberalizzazione degli scambi è stata la causa piuttosto che il risultato dello sviluppo economico. Da questa posizione di dominio planetario, imporre il libero mercato per l'impero britannico fu un passo naturale. Il paese aveva raggiunto la sommità del potere con il protezionismo e adesso buttava via la scala che l'aveva aiutato nella sua ascesa, promuovendo il libero mercato.
Sempre Chang sottolinea come tra il 1830 e la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti hanno adottato la media più alta di tariffe protezioniste nel settore manufatturiero del mondo.
Solo dopo la fine della seconda guerra mondiale le politiche economiche americane svoltarono verso il libero mercato. Come riporta Chang nel suo lungo articolo, il 18esimo Presidente degli Stati Uniti, Ulysses S. Grant, che guidò il paese dal 1869 al 1877, tra i principali artefici della vittoria nordista nella Guerra di Secessione, disse:"  Per secoli l'Inghilterra ha potuto contare sul protezionismo, ottenendo soddisfacenti risultati. Non c'è dubbio che questo sistema passato è la ragione della sua forza presente. Adesso dopo due secoli di protezionismo il paese sta adottando il libero mercato, più utile alla sue esigenze attuali. Molto bene, lo stesso farà l'America entro 200 anni, uscendo dal protezionismo e favorendo il libero mercato."
Ad i "positivisti" del neoliberismo e della globalizzazione che sostengono la crescita record delle economie mondiale degli ultimi  20 anni, Chang risponde con alcuni numeri :" L'economia mondiale è crescita maggiormente tra gli anni '60 e '70 del secolo scorso, circa il 3%, contro un 2% degli ultimi 20 anni di "record" economici. Se si considera la crescita pro-capite nei paesi sviluppati si assiste ad una contrazione dal 3.2% al 2.2%, stesso discorso per i paesi in via di sviluppo dal 3% al 1.5%. Numeri che includono l'ascesa vertiginosa di India e Cina, altrimenti i tassi sarebbero anche più miseri. L'esperimento neoliberale ha fallito nelle sue promesse di ricchezza, sacrificando uguaglianza ed ambiente."
Ma come è possibile che questo procedimento economico sia ancora la ricetta maggiormente promossa e sostenuta dai Paesi industrializzati e dalle più autorevoli organizzazioni economiche mondiali? Chang risponde come il "tutto" sia sostenuto da un impianto economico-politico-ideologico che può solo essere solo paragonato al potere che aveva la Chiesa nel Medioevo in Europa.
L' influenza dei maggiori organismi internazioni, quali Banca Mondiale, IMF, WTO, che esercitano sui MEDIA (per disinformare) e sulle agende politiche di USA, Regno Unito e principali paesi industrializzati, è predominante. Chi lavora nei paesi in via di sviluppo per queste organizzaioni ha ottimi stipendi, il loro silenzio e la loro complicità è semplicemente pagata un buon prezzo.
Secondo Chang gli unici accordi commerciali che possono sperare di ottenere buoni risultati, sono quelli che raggruppano paesi con simili livelli di sviluppo (come il Mercosur), non accordi che forzano paesi economicamente differenti in un mercato a senso unico. Questo è quello che impone il WTO, per esempio, indebolendo e marginalizzando i paesi in via di sviluppo, a favore dei poteri forti, delle Multinazionali e delle oligarchie planetarie.

Sulla stessa linea anche Robert Pollin (1950-), economista americano, codirettore del PERI (Political Economy Research Institute). In un articolo del 2010 "The Wall Street Collapse and Return of Reality-Based Economics", viene sottolineato come la deregolamentazione finanaziaria, incoraggiata dai governi per crescita e stabilità, abbia prodotto risutati pessimi. Le misure, agli inizi del 2000, per annullare  la "Glass–Steagall", una norma per controllare e limitare gli affari di banche ed istituti finanziari, creata dopo il crollo di della borsa americana del '29, insieme alle misure di Clinton con il "Financial Service Modernization Act", hanno di fatto dato libero sfogo ad un mercato incontrollato, seme fruttuoso della crisi che ancora resiste nel sistema mondiale. Pollin ricorda come la crisi finanziaria del 2007/08 non è fatto isolato nel panorama americana ma piuttosto una sua caratteristica peculiare: la crisi dei mercati del 1997, la bolla speculativa del 1999/01, una sorta di crisi ciclica che si abbatte sui mercati devastanndo  sopratutto i cittadini. Non certo per le varie Goldman Sachs, Citibank, J.P. Morgan e poche altre, sempre salvate dalle iniezioni di soldi pubblici della Federal Reseve Bank (FRB). Uno dei suoi pupilli, Alan Greenspan, che ha ricoperto l'incarico di Presidente dal  1987 al 2006, è il principale artefice di questa deregolamentazione selvaggia. Ci sono tre importanti figure a supporto del neoliberismo, Robert Lucas, Friedrich Hayek e Milton Friedman, ognuno con il suo bel Nobel per l'economia. Hayek sosteneva che l'economie socialiste erano destinate a fallire perchè non offrivano potere decisionale alle persone per scegliere ed informasi liberamente sulle offerte finanaziarie, ma anzi ne limitavano il raggio. La sua fama crebbe con il crollo del blocco Socialista-Sovietico del 1989. Il paradosso del suo pensiero, secondo Pollin e Cassidy (altro studioso ed autore del libro "How Market fails: the logic of economic calamities"), è nell'utopia che il libero mercato fornisca una informazione completa al cittadino, che non si spiega, per esempio nel crollo dei Subprime del 2006/07, che ha visto molti contribuenti perdere la propria casa o i risparmi di una vita. Quindi le informazioni c'erano, ma completamente distorte dalla realtà.
Pollin definisce il neoliberalismo con tutti i suoi "assiomi" una mera utopia.


Nell'informazione niente dovrebbe essere dato per scontato. Il mosaico internazionale viene artificiosamente scombinato per non permettere di ottenere una parvenza di verità. Il capitolo Africa è uno di quei tasselli fondamentali per comprendere come anche il sistema educativo sia pieno di lacune, come la fotografia di un continente sia oramai divenuta un assioma inconfutabile. Non si deve capire, ma digerire quella nozione.
Basil Davidson (1914-2010) è stato uno dei massimi studiosi britannici del pianeta africa. Ha contribuito con i suoi studi ed i suoi documentari ad una immagine del continente ripulita da stereotipi e falsi storici. Ha puntato il dito contro un sistema economico che ha ridotto l'Africa in una emergenza perenne.
Nei suoi studi (fondamentale è "The black man's Burden:African and the curse of National-State") Davison mostra come questo immenso territorio sia sempre stato fin dai tempi coloniali sotto il giogo dei "conquistadores" europei. Un colonialismo umano e finanziario che non ha mai permesso ai suoi popoli di essere padroni del proprio destino, ma ha sempre imposto un modello di sviluppo occidentalizzato.
La storia dell'Africa sembra iniziare con l'arrivo del'uomo bianco, del "prima" non c'è traccia.
Sostanzialmente il modello dello "Stato-Nazione" ha origini recenti, si può collocare dopo la Rivoluzione Francese (1789), quando la Francia divenne forse la prima Nazione Europea. Fu dato per scontato applicare questa formula di Governo anche nel processo di decolonizzazione africano. Le proposte alternative come una Federazione di Stati, senza distuggere le diversità ma rendendole una ricchezza, furono ignorate. L'idea di Nazione, per Davidson, ha semplicemente favorito la ricchezza per le Elite al potere, non il bene della collettività. L'Africa ha ottimi esempi di civiltà passate che hanno creato benessere per il suo popolo, come l'Impero Ashanti, nella zona occidentale del continente, nella zona dell'attuale Ghana. Un impero sorto nel XVII secolo, con una sua burocrazia, un'economia florida, regole civili, elezioni, trasporti funzionali, tutto spazzato via dal "progresso coloniale". Oppure come la società Yoruba, ancora più antica, un'era quasi mitica se comparata con i disastri di oggi. Ci furono numerosi movimenti di lotta per la liberazione in Mozambico, Guinea Bissau, Angola, tutti puntualmente frustrati da USA ed Unione Sovietica. Il punto di non ritorno per i popoli africani furono le decisioni sommarie, sopratutto britanniche, sulla creazione dei confini che hanno lacerato identità o alimentato conflitti fino ai giorni nostri.
Concude Davidson:" Le riforme modernizzatrici in West Africa verso la fine del XIX secolo erano simili a quelle attuate dal Giappone nello stesso periodo, il potenziale per lo sviluppo era sostanzialmente per nulla diverso dal potenziale realizzato dai giapponesi nel 1867."

Il mondo sta rispettando i patti sull'ambiente?
Le guerra sono un lontano ricordo?
Gli interessi delle potenze mondiali sono per le fonti energetiche o per il valore di una singola vita umana? Quanti sono coloro che vivono con meno di 2$ al giornio, perchè i ricchi sono sempre più ricchi, la classe media deve fare le acrobazie ed i poveri sempre più poveri?
Il lavoro è ancora crescita professionale o subdolo ricatto?
I nuovi milionari delle globalizzazione sono sostenibili o non sono consapevoli dei danni delle loro imprese?
Ogni singola domanda ha la sua risposta, sta al nostro buonsenso ed alla voglia di essere curiosi, informandosi, non lasciandolo fare ad altri. Per adesso stanno vincendo le urla degli stolti, forse perchè chi è nel giusto rimane in un dubbioso silenzio. Resistenza sempre. Maremmcinghialaaaaaaaaaaaaaaa


















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